Force Touch e 3D Touch: la rivoluzione dei display?
Da quando gli smartphone sono entrati nella nostra vita quotidiana, un nuovo modo di interagire con i cellulari ha soppiantato le tastiere fisiche: sto parlando della tecnologia touchscreen. Inizialmente i display erano di tipo resistivo, ereditando dai palmari la capacità di riconoscere gli input tramite una pressione sullo schermo.
Poi sono arrivati i display capacitivi, con una tecnologia di rilevamento dei tocchi basata sulla variazione del campo elettrico e protagonisti indiscussi nel mondo degli smartphone. Oggi sembra che un nuovo tipo di display possa migliorare ulteriormente il nostro modo di interagire con gli smartphone, o almeno è quello che cercano di dimostrare Huawei ed Apple con i loro ultimi dispositivi dotati rispettivamente di tecnologia Force Touch e 3D Touch. Scopriamo nel dettaglio di cosa si tratta e se davvero davanti a noi si prospetta una nuova era del touchscreen!
Un po’ di storia
Il modo in cui è possibile interagire con una piattaforma è quasi più importante delle funzionalità della stessa, un discorso ancora più valido per gli smartphone. Dopotutto si tratta di strumenti multifunzione di massa, in cui la facilità d’uso è una prerogativa indiscussa: semplificare il modo con cui interagire equivale a migliorare l’esperienza stessa di utilizzo.
I produttori conoscono bene questo aspetto e nel corso degli anni hanno migliorato sempre più la tecnologia dei display dei loro smartphone, visti come dispositivi di input oltre che di output/visualizzazione. Ripercorriamo brevemente le tappe fondamentali di questo progresso evidenziando i punti di forza ed i difetti di ciascuna tecnologia.
I display resistivi
Sebbene sia la tecnologia più vecchia, questi display sono i più semplici ed economici da realizzare. In pratica questi schermi consistono in due pannelli plastici ricoperti di materiale conduttivo vicini tra loro; premendo lo schermo lo strato superiore si avvicinerà a quello sottostante e nel momento di contatto si chiuderà il circuito elettrico rilevando con precisione le coordinate del tocco.
Basandosi sulla pressione fisica dello schermo, potremo utilizzare qualsiasi oggetto per interagire con lo schermo, come ad esempio un pennino. Utilizzando quest’ultimi, la precisione degli schermi resistivi era decisamente migliore rispetto a quella offerta dai primi display capacitivi, inoltre non lasciavano alcuna impronta. Tuttavia i due pannelli plastici riducevano la luminosità e la qualità generale delle immagini, senza contare che un materiale plastico è decisamente più facile da rigare.
I display capacitivi
Nei primi anni di diffusione della tecnologia touchscreen, i display capacitivi furono soppiantati dai resistivi, proprio per la difficoltà di realizzazione, l’alto costo produttivo e la precisione più approssimativa. Anche questi schermi sono composti da diversi pannelli, ma il più esterno è di vetro generalmente ricoperto da un sottilissimo strato di ossido metallico.
Ai quattro lati del display viene applicata una lieve tensione generando un campo elettrico uniforme sulla superficie dello schermo. Quando un oggetto conduttivo (come il nostro dito) entra in contatto con lo schermo, questo campo subisce una variazione che viene rilevata e localizzata. L’utilizzo del vetro garantiva una migliore qualità e luminosità del display, oltre che una maggiore resistenza ai graffi (a discapito della resistenza agli urti).
Ma il principale vantaggio che ha portato questi schermi nei top di gamma del periodo e nel tempo, in seguito ad un abbassamento dei costi e del miglioramento nelle tecniche di produzione, anche nei dispositivi di fascia media e bassa, è la facilità di entrare in contatto con i dispositivi: non occorreva più esercitare una pressione sullo schermo, ma bastava un delicato sfioramento.
Naturalmente vi sono stati numerosi progressi con questa tecnologia, a partire dalla precisione, così come la resistenza del vetro (Gorilla Glass, per fare un esempio) o il multitouch, ma vorrei evidenziare il lato psicologico: questa caratteristica di sfiorare lo schermo per selezionare i contenuti non solo ha velocizzato l’input, ma ha ravvicinato la distanza di interazione tra uomo e macchina, un rapporto enfatizzato dal solo riconoscimento delle nostre dita (o di particolari oggetti conduttivi come i nuovi pennini).
I nuovi display Force Touch – 3D Touch
Ed ecco la nuova evoluzione dei display touchscreen, ciò che potremmo definire come l’unione delle due tecnologie sopracitate: uno schermo capacitivo in grado di rilevare i livelli di pressione. In realtà di resistivo questo display non ha quasi nulla, se non per la lieve flessibilità del pannello dello schermo più esterno, che è comunque realizzato in vetro.
Il primo dispositivo a integrare questa tecnologia è la versione di lusso con 128 GB dell’Huawei Mate S, presentato all’IFA 2015. Nonostante l’utilizzo del termine Force Touch, che in realtà è il nome della tecnologia sensibile alla pressione del trackpad di Apple Watch e dei MacBook, il display del Mate S è definito semplicemente “pressure sensing” (rilevamento della pressione). Poco dopo anche Apple ha presentato il nuovo iPhone 6s e 6s Plus, entrambi dotati di tecnologia 3D Touch.
La peculiarità di questi nuovi display è l’implementazione di microsensori interni allo schermo chiamati estensimetri (più precisamente, estensimetri elettrici a resistenza). Questi particolari componenti sono sensibili alle loro più piccole deformazioni: conoscendo le caratteristiche meccano/fisiche del materiale e misurando la loro deformazione è possibile calcolare con grande precisione i livelli della pressione esercitata.
Possibilità di utilizzo
Con l’arrivo del touchscreen si è ottenuto un nuovo dispositivo che offre contemporaneamente capacità di output e quindi di visualizzazione dei contenuti, e di input, ovvero di interazione con i contenuti. Grazie a questo nuovo tipo di tecnologia touch la quantità di input possibili è aumentata, potremmo dire triplicata: se ora l’unico modo di interagire con lo schermo è il “tocco normale”, con i nuovi display touch avremo a disposizione anche il “tocco pesante”, da cui si possono estrarre più livelli di pressione ottenendo quindi un “tocco calibrato”.
Per fare un esempio concreto, con il Mate S è possibile liberarci della barra di navigazione in basso ed utilizzare al suo posto i “tocchi pesanti” dove prima erano situati i tasti home, back e menu/app recenti, oppure premere a fondo negli angoli in alto del display per aprire in un istante un’app da noi impostata, così da non aver bisogno della sua icona nella home.
È ancora più evidente l’utilità se osserviamo l’implementazione da parte di Apple nei suoi ultimi iPhone S: premendo con una leggera pressione su un’app si aprirà un menu di azioni possibili (ad esempio scattare una foto normale, un selfie o registrare un video con l’app fotocamera) e premendo più a fondo su una voce potremo selezionarla. Tutto senza sollevare il dito o dover aspettare alcun lasso di tempo.
Un utilizzo divertente del display pressure sensing di Huawei è la possibilità di pesare oggetti leggeri: appoggiando un oggetto tra i 200 e i 400 grammi sullo schermo potremo pesarlo con uno scarto indifferente, considerando l’uso che si farebbe di uno smartphone come bilancia. Oppure è possibile zoomare una porzione di foto semplicemente applicando una pressione sullo schermo.
Una rivoluzione dei display touchscreen degli smartphone?
Al momento le applicazioni che utilizzano questa nuova modalità di interazione sono decisamente ridotte e anche la stessa implementazione da parte dei produttori è piuttosto deludente (soprattutto per Huawei). Tuttavia se questa tecnologia dovesse diffondersi su molti altri smartphone (cosa a mio avviso più che plausibile) il panorama software subirà una grande trasformazione.
Già, ma quanto grande? Come molti di voi avranno già pensato, in realtà anche il nostro smartphone permette molto più che un “tocco normale”. Grazie alla versatilità del software si sono raggiunti diversi escamotage per aumentare le possibilità di interazione: quello che abbiamo precedentemente definito “tocco pesante”, concettualmente non è diverso dall’attuale tocco prolungato su un elemento.
Anche per quanto riguarda le scorciatoie, esistono migliaia di applicazioni grazie alle quali è possibile aprire le app toccando una porzione del display o effettuando una gesture. Tuttavia con questi nuovi display sarebbe tutto possibile nativamente ed istantaneamente, senza quindi dover ricorrere ad app di terze parti o aspettare diversi centesimi di secondo (che sembra poco, ma fanno la differenza).
Cosa potrà offrirci la stessa versatilità dei software usata per potenziare l’interazione con gli attuali touchscreen, su dei display sensibili a diversi livelli di pressione? Proponete una possibile applicazione di questa tecnologia in un commento!
Conclusioni
Personalmente ritengo questi nuovi display uno step importante nel progresso delle modalità di interazione con gli smartphone, ma sarei restio a definirlo una rivoluzione. Penso che ormai siamo arrivati ad un livello tecnologico tale da poter pensare concretamente a modalità di interazione di gran lunga differenti e più avanzate del touchscreen.
Al momento Google sta lavorando al Project Soli, una tecnologia radar e vari sensori di interazione con la quale è possibile rilevare i movimenti delle dita ed interpretarli come se fossero delle gesture, il tutto senza dover toccare lo smartphone.
In un futuro prossimo i gadget tecnologici entreranno a pieno regime nella nostra vita: implementando sensori per encefalogramma ad occhiali o cuffie intelligenti si potranno spartire alcuni compiti (basilari per il momento) col pensiero, leggendo l’intensità dell’attività delle onde cerebrali. Fantascienza? Qualche anno fa sì, ora è solo questione di tempo.
Cosa ne pensate di questa nuova tecnologia dei display? Secondo voi la sensibilità alla pressione cambierà la concezione del touchscreen nel futuro, oppure tra qualche anno non avremo nemmeno bisogno di toccare gli smartphone?